Sei mesi con quasi trecento appuntamenti alla Scala in occasione di Expo: si parte con Turandot col finale di Luciano Berio mai eseguito a Milano. Dirige Riccardo Chailly, per la prima volta come Direttore Principale; protagonista Nina Stemme nella regia di Nikolaus Lehnhoff.
Il 1° maggio Riccardo Chailly esordisce sul podio del Teatro alla Scala in veste di Direttore Principale con Turandot di Giacomo Puccini in occasione dell’inaugurazione dell'Expo. Il finale scelto per l’opera incompiuta di Puccini è quello di Luciano Berio, che viene eseguito per la prima volta in forma scenica alla Scala. Ripresa dalle telecamere della Rai e trasmessa in diretta su Rai5 e Radio3 e in differita nei cinema, Turandot inaugura la programmazione scaligera per Expo: sei mesi in cui il Teatro sarà aperto per 122 serate d’opera, 62 di balletto e 88 concerti (da segnalare CO2, l’opera sul cambiamento climatico commissionata dal Teatro alla Scala a Giorgio Battistelli che viene eseguita in prima assoluta a partire dal 16 maggio).
Giacomo Puccini muore a Bruxelles il 29 novembre 1924, lasciando incompiuta la sua decima opera (considerando il Trittico come titolo unitario), Turandot, con cui compie uno sforzo di rinnovamento stilistico che lo pone accanto ai principali compositori europei del suo tempo. Nel dicembre 1923 la partitura sembra quasi finita: compiuta la scena tragica della morte di Liù, manca solo il duetto finale in cui la principessa si abbandona finalmente all’amore. Ma il passaggio dal lutto per Liù allo “sgelamento” della principessa, all’ardore amoroso di Calaf e a un rapido lieto fine si rivela uno scoglio insormontabile dal punto di vista drammaturgico e musicale. Puccini, colpito da un tumore alla gola, continua a scrivere producendo 23 fogli che contengono 30 frammenti musicali. Ci lavora fino all’ultimo, portandoli con sé anche a Bruxelles dove si reca per un intervento chirurgico risultato vano. Dopo la morte del Maestro, l’editore Ricordi decide, su pressione di Arturo Toscanini, di affidare il completamento dell’opera sulla base delle bozze disponibili a Franco Alfano. Toscanini tuttavia non è per nulla soddisfatto della prima versione del finale propostagli da Alfano in cui sono ripresi, insieme a diversi temi degli atti precedenti, solo 3 dei frammenti di Puccini e gli impone di scriverne una seconda, più stringata, in cui i frammenti pucciniani diventano 4. La prima rappresentazione di Turandot ha luogo al Teatro alla Scala il 25 aprile 1926: dirige Arturo Toscanini che, dopo la morte di Liù, depone la bacchetta e rivolge al pubblico la celebre frase “Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto”.
Da allora il secondo finale di Alfano è rimasto in repertorio, ma senza convincere del tutto, perché il tono trionfale della nuova conclusione contrasta con le parole vergate dal compositore negli schizzi: “e poi Tristano” (Tristan und Isolde si conclude in pianissimo, con un’estasi amorosa che è anche estasi di morte: tutto il contrario del coro trionfante cui Alfano fa cantare le parole, assenti dal libretto originale, “ride e canta l’infinita nostra felicità”).
Nel 2000 il Festival delle Canarie commissiona un nuovo completamento dell’opera a Luciano Berio che si dedica innanzitutto allo studio dei frammenti originali e opera una serie di tagli al libretto eliminando molti dei passaggi per cui non esistono idee musicali di Puccini; a differenza di Alfano, Berio si ripropone di utilizzare il più possibile gli schizzi, inclusi quelli strumentali in cui Puccini sembra discostarsi in modo radicale dal suo stile precedente, e ne inserisce 23 su 30 combinandoli con una serie di rimandi a temi già presenti nel resto dell’opera, a cominciare dal “Nessun dorma”. Si accentua così nel finale il pluralismo di stili che è caratteristica dell’intera opera e ne fa un punto di svolta rispetto alla precedente produzione pucciniana. Per il punto culminante, lo “sgelamento”, Berio si rifà alle indicazioni di Puccini: si rende necessario un momento di “intimità amorosa” abbastanza prolungato da rendere drammaticamente credibile il cedimento della principessa e Berio lo realizza con un interludio strumentale apertamente debitore del cromatismo di Wagner, cui già aveva fatto riferimento Puccini prima dell’aria di Liù. L’accordo del Tristano ricorre in diversi momenti dell’opera, a cominciare delle prime note del I atto, gettando un’ombra di ambiguità e di morte sulla vicenda amorosa. Nel finale di Berio il lutto per la morte di Liù non è dimenticato e termina in pianissimo su un’atmosfera di sospensione e incertezza: “si conclude con una domanda – dichiarava Berio - e il pubblico si ritrova a chiedersi che cosa ha visto e come sia possibile completare in qualche modo la soluzione dell’enigma che è Turandot”. Il finale di Berio vede la luce in forma di concerto il 25 gennaio 2002 al Festival de Gran Canaria con la direzione di Riccardo Chailly. Il 1° giugno il nuovo finale viene presentato in forma scenica alla Nederlandse Opera sempre con Chailly e la regia di Nikolaus Lehnhoff. Luciano Berio è presente, segue le prove: insieme a lui Lehnhoff decide di lasciare in scena il corpo di Liù durante il duetto dello “sgelamento”, come un’ombra luttuosa che si stende sull’estasi degli amanti.
L’allestimento di Lehnhoff giunge ora alla Scala in una nuova produzione ripensata dal regista. Nella parte di Turandot il soprano svedese Nina Stemme (nella foto), una delle grandi voci wagneriane del nostro tempo che ha già affrontato diversi ruoli pucciniani, incluso questo a Stoccolma nel 2013. Il principe Calaf è Aleksandrs Antonenko, tenore lettone, la parte di Liù è interpretata da Maria Agresta, uno dei più affermati soprani italiani degli ultimi anni. Turandot è in scena a maggio per otto recite alle ore 20: 1, 5, 8, 12, 15, 17, 20, 23. Ulteriori informazioni e vendita biglietti sul sito del Teatro alla Scala.